NON TUTTI, DEL PASSATO VENTENNIO, ADERIRONO AL FASCISMO
REPUBBLICANO
MUSSOLINI E ARPINATI,
ULTIMO COLLOQUIO (7 OTTOBRE 1943)
Marino Viganò
Di Leandro Arpinati (1892-1945),
sanguigno esponente del fascismo emiliano degli anni '20, hanno già
scritto circostanziate, anche se non sempre del tutto attendibili biografie,
famigliari (1) ed amici (2); più sporadici gli interventi equilibrati
sui motivi ed il periodo della “disgrazia”, della prigionia e del confino
(3).
Quasi tutto si conosce anche
degli ultimi mesi, trascorsi alla fattoria di Malacappa presso Bologna,
sino alla tragica fine per mano di ignoti il 22 aprile '45, un giorno dopo
l'ingresso degli Alleati a Bologna (4).
Un episodio di quei mesi merita,
invece, un ulteriore approfondimento data la varietà e, a volte,
la contraddittorietà delle fonti che ne trattano: il colloquio tra
Mussolini ed Arpinati, alla Rocca delle Caminate, il 7 ottobre '43.
Si tenterà, dunque,
di ricostruirne le fasi formali di accadimento, l'aspetto sostanziale del
contenuto del colloquio e gli ulteriori, successivi tentativi di avvicinare
Arpinati alla Repubblica Sociale Italiana messi in atto da diversi esponenti
del fascismo repubblicano locale.
Duilio Susmel, attento e documentato
storiografo della R.S.I., così sintetizza l'episodio in un vecchio
articolo da una serie sui grandi gerarchi del Regime fascista:
“Subito dopo il suo ritorno
al potere, Mussolini si rivide con Arpinati, e per l'ultima volta. Era
stato il rettore dell'Università di Bologna, Coppola, acceso fascista
“repubblichino” a convincere Giorgio Pini, direttore del “Resto del Carlino”,
a parlare a Mussolini della convenienza di richiamare alla ribalta Arpinati,
allo scopo di impegnarlo con la repubblica e di rafforzare le adesioni
in Bologna. (Già Farinacci aveva suggerito, invano, di nominarlo
ministro dell'lnterno). Mussolini non aveva mostrato di apprezzare troppo
la proposta. Allora erano tornati alla carica il prefetto di Bologna, Montani,
il professor Coppola e il federale Sarti, fin che erano riusciti, il 6
ottobre 1943, a far pervenire ad Arpinati questo biglietto autografo di
Mussolini: “Caro Arpinati, domattina, giovedì 7, ti aspetto alla
Rocca. Parleremo insieme sulla situazione. Cordiali saluti”.
Il destinatario accolse
l'invito e il colloquio fu lungo e formalmente cordiale. I due romagnoli
non parlarono del passato, e il Duce invitò l'uomo che gli era stato
fedelissimo per molti anni a riprendere la sua collaborazione. Ma, prevenuto
contro le annunciate direttive sociali, contro i tedeschi, in sostanza
contro il fascismo, Arpinati si sottrasse ad ogni impegno col pretesto
di essere troppo impegnato nella direzione della sua azienda agricola.
Mussolini non insisté e l'incontro ebbe termine.
Più tardi, al giornalista
Giovannini, ricevuto in udienza, il Duce disse: “Se il vostro amico Arpinati
non fosse stato cosi cocciuto, forse molte cose non si verificherebbero
ora. - Poi aggiunse: - Per ciò che riguarda Arpinati, la colpa è
mia. Se non ci fossimo incontrati, sarebbe probabilmente rimasto un bravo
e innocuo anarchico. Si era trasformato in un cattivo fascista ed è
ora liberale, in ritardo di cinquant'anni. Mi dicono che treschi coi partigiani.
Non so se spera qualcosa; in tal caso non ha capito niente” (5).
Circa l'avvio dei contatti
con Mussolini per il “repechage” di Arpinati, narra Giorgio Pini, durante
la R.S.I. direttore del “Resto del Carlino” e Sottosegretario agli Interni,
esponente di spicco del fascismo bolognese, primo, occasionale motore della
vicenda:
“Mi domandavo come avrei
trovato Mussolini dopo i duri colpi del 25 luglio e dell'8 settembre, e
come avrei saputo assolvere la missione di cui gli amici mi avevano incaricato.
Questione delicata: si trattava di suggerire nel modo più opportuno
un incontro riconciliativo con Leandro Arpinati, onde contribuire alla
formazione di una atmosfera più propizia per lo sviluppo del fascismo
repubblicano nel sensibile settore bolognese. (...) affrontai deciso la
questione più delicata:
- Il professor Coppola...
- Goffredo?
- Sì, Goffredo Coppola
ha visto in questi giorni Leandro Arpinati il quale si è mostrato
sensibile parlando di voi. Coppola crede che Arpinati, se chiamato, risponderebbe.
La cosa farebbe buona impressione a Bologna e forse riuscirebbe utile alla
situazione locale.
Dimenticai di dirgli che,
secondo voci forse attendibili ma da me non confrontabili, Arpinati era
stato consultato da Casa Reale prima del 25 luglio ma si era rifiutato
di aderire alla congiura di palazzo. Precisai che Kenda (già comandante
della piazza di Bologna dopo l'8 settembre) era al corrente dell'iniziativa
di Coppola. Ascoltò, forse sorpreso ma imperturbato, e rispose subito:
- Per Arpinati, si potrà
fare, in un secondo tempo. Però sono cose nostre: non parliamo di
ciò in presenza del tedesco. Ora fate entrare questo tenente (...).
Con Kenda ci avviammo al
ritorno mentre alla Rocca veniva annunciato il prossimo arrivo del maresciallo
Graziani. Durante il viaggio constatammo che sarebbe stato necessario tornare
alla carica per definire la questione Arpinati. (...).
Goffredo Coppola e gli
altri amici - molto si interessò della questione anche il Capo provincia
Montani - non furono del tutto soddisfatti del risultato generico della
mia missione. Da poco avevo conosciuto il federale di Bologna Aristide
Sarti, giovane e valoroso tenente pilota, il quale, durante il periodo
badogliano, aveva indirizzato al “Carlino” una coraggiosa lettera a nome
dei combattenti che nulla avevano da rimproverarsi per il passato (...).
Sarti volle presentarsi
a Mussolini insieme a Goffredo Coppola per risolvere la questione Arpinati,
e siccome nessuno dei due erano ancora personalmente conosciuto dal Duce,
mi chiese un biglietto di presentazione. Del seguito degli accordi fui
solo genericamente informato perché ero di continuo impegnato nella
lontana sede del giornale e non avevo tempo di frequentare uffici ed amici
in città. Ma seppi che un giorno l'incontro fra Mussolini e Arpinati
era effettivamente avvenuto alla Rocca. I due si erano abbracciati come
vecchi amici ed erano rimasti lungamente a colloquio dopo oltre dieci anni
di separazione. Tuttavia Arpinati non tornò alla politica e continuò
a dirigere la sua azienda agricola alla Malacappa, presso Bologna, là
dove fu assassinato nell'aprile del '45 insieme al noto avvocato Nanni.
Con stupito dolore appresi poi da un testimonio che Arpinati, negli ultimi
tempi, aveva ospitato in casa sua due ufficiali inglesi informatori; sicché
la sua fine fu doppiamente triste (6)”.
Rievocando anni dopo per Giorgio
Bocca quel tentativo fallito, il clima che l'aveva generato ed il probabile
stato d'animo dei due interlocutori, Pini precisa:
“... bisogna aver vissuto
il fascismo bolognese per capire: Arpinati è stato per anni un Bentivoglio,
voglio dire un signorotto della città, è stato podestà,
prefetto, capo del partito, delle organizzazioni sportive, un ras con molti
fedeli, molta popolarità. Partito dall'anarcosindacalismo è
finito su posizioni reazionarie ed è stato addirittura sospettato
per l'attentato Zamboni al Duce, ma è sempre un nome, un personaggio,
ciò di cui il nuovo fascismo ha grandissimo bisogno (7)”.
e sull'offerta della Presidenza
del Governo Nazionale Repubblicano ad Arpinati
“(...) forse glielo propone
- osserva Pini - quando è ben sicuro che risponderà di no.
Arpinati non accetta: dissente dalla impronta socialisteggiante della repubblica
e non vuole muoversi dalla sua fattoria, la Malacappa. Le sue contraddizioni
lo seguiranno fino alla morte, sarà ucciso dai partigiani anche
se è rimasto fuori della repubblica e se ha dato asilo a prigionieri
inglesi (8)”.
Sostanzialmente concorde un
appunto di Franz Pagliani, responsabile della riapertura del Fascio bolognese
dopo l'8 settembre, delegato al Congresso di Verona del P.F.R. (14 novembre
'43), giudice al processo di Verona (8-10 gennaio '44), Ispettore regionale
del P.F.R. per l'Emilia-Romagna e Comandante la III Brigata Nera Mobile
“Attilio Pappalardo” di Bologna:
“(...) liberato da Campo
Imperatore e, giunto alla Rocca delle Caminate, Mussolini volle vedere
Arpinati che, solo dopo aver ricevuto un invito scritto, accettò
di recarvisi: gesto senz'altro generoso da parte di un uomo che era stato
per dieci anni, ingiustamente, secondo la sua persuasione, allontanato
e confinato. Lo accompagnarono Goffredo Coppola, divenuto poi Rettore dell'Università
di Bologna e caduto a Dongo, e il tenente tedesco Kenda (non maggiore,
nè delle SS, ma ufficiale in servizio di collegamento politico,
e tuttora vivente) e l'ex podestà di Bologna, Giambattista Berardi.
Più che cordiale, I'incontro fu affettuoso, ma il colloquio che
si prolungò per circa un'ora, avvenne a quattr'occhi.
All'uscita fu chiesto ad
Arpinati se si potesse contare su una sua collaborazione attiva, ma egli
allargò le braccia asserendo di preferire i suoi allevamenti. Non
lo escluse decisamente però, e così si aprirono molte speranze
successivamente deluse al punto che il federale Sarti, giovane aviatore
impulsivo ed entusiasta, assunse nei confronti di Arpinati un atteggiamento
talmente ostile che mi trovai costretto a chiedere a Mussolini (gliene
dissi chiaramente la ragione) di sostituirlo; pochi giorni dopo, Sarti
cadde eroicamente, quale pilota da caccia, nel cielo di Verona. Gli subentrò
Eugenio Facchini, assassinato il 26 gennaio 1944 (9).
Una testimonianza inedita
sulle circostanze formali dell'incontro Mussolini-Arpinati è stato
possibile, invece, raccogliere dalla viva voce di Antonino Melega, bolognese,
all'epoca Ispettore regionale del P.F.R. per la Lombardia e l'Emilia-Romagna
e, in seguito, Commissario Federale di Brescia:
Aristide Sarti tento un'operazione
di sua iniziativa, priva di qualunque base di fattibilità concreta
e destinata al fallimento. Il Duce aveva mandato al confino, “consule Starace”,
parecchi dissidenti fascisti, i quali non avevano capito la nuova fisionomia
che doveva assumere il P.N.F. (cioè assorbire liberali ed altri).
Fra quegli “ortodossi della rivoluzione” c'era Leandro Arpinati. Ad un
certo momento, Sarti mi confidò: “Sai, ho intenzione di avvicinare
Arpinati, perché in questo momento è meglio "recuperare"
uomini della vecchia guardia: cosa ne dici?”.
Io ho avvisato Sarti: “Sì,
ma a tuo rischio e pericolo” “Accompagnami tu, Melega” “No,
tu vai e mi riferisci: poi andiamo a Maderno”. In sostanza, Sarti andò
da Arpinati e gli chiese: “Saresti disposto a collaborare con il P.F.R.
?” “Qualora venissi interpellato. . . “. Forte della risposta
interlocutoria di Arpinati, Sarti andò da Mussolini e gli chiese:
“Duce, sareste disposto ad accettare la collaborazione di Arpinati?”, e
Mussolini: “Se Arpinati lo gradisse...”; Infine, basandosi su dichiarazioni
tanto anodine, Sarti pensò di aver realizzato l'intesa.
Io, Sarti ed Arpinati ci
recammo alla Rocca (sebbene io fossi estremamente scettico e non provassi
alcuna fiducia e simpatia per Arpinati), Arpinati e Mussolini si incontrarono
senza che nessuno di noi assistesse al colloquio: non so, pertanto, cosa
si siano detti.
In conclusione Arpinati
(che tornava a Bologna, mentre io tornavo a Brescia) ci comunicò:
“Non ci siamo intesi del tutto: vedremo...“. Poi qualcuno (forse lo stesso
Sarti) deve avermi detto che la faccenda era andata “in alto mare”. Di
conseguenza, non se n'è fatto più niente, come io avevo previsto
dato l'individuo Arpinati che, detto per inciso, avrebbe ospitato con l'avv.
Nanni una radiotrasmittente alleata alla Malacappa per finire poi ucciso
gli ultimi giorni d'aprile '45 dai partigiani (10).
In realtà, ancora dopo
quel 7 ottobre '43 certi ambienti del fascismo repubblicano di Bologna
non disperano di attrarre Leandro Arpinati nell'orbita di Mussolini e del
Governo Nazionale Repubblicano; scrive, in proposito, il già citato
Pagliani:
“È difficile dire
se il Duce, battendo il ferro a caldo, avrebbe ottenuto la collaborazione
di Arpinati; ma senza dubbio non aveva rinunciato all'idea, tanto è
vero che quando nel novembre 1943 Gugliemo Montani, vecchio fascista bolognese
e amico di Arpinati, giunse a Bologna come prefetto, mi chiamò,
prima ancora di disfare le valigie, e mi pregò di accompagnarlo
a Malacappa perché aveva ricevuto ordini "superiori" di
proporre ufficialmente ad Arpinati la sua partecipazione al governo della
R.S.I. Fummo accolti con molta cordialità e sembrava che tanti anni
e tante vicende non fossero passati tra noi; visitammo la tenuta e gli
allevamenti e ci trattenemmo alcune ore, ma quando Montani chiarì
lo scopo della sua visita, trovò un reciso diniego. Disse testualmente
Arpinati: "Ma non vi accorgete che ormai tutto è perduto? E
voi combattete ancora? Io vi ammiro...". Non fu difficile rispondergli
che non facevamo che seguire la via sulla quale egli stesso ci aveva indirizzato
e guidato (11)”.
Conferma Giancarla Cantamessa
Arpinati, figlia del vecchio squadrista forlivese:
“Le richieste non finirono
subito e non finirono qui. Venne a Malacappa un certo maggiore Kenda, delle
SS, accompagnato da autorità fasciste e mio padre fu invitato ad
un qualsiasi tipo di collaborazione, anche il più semplice: mostrarsi
con loro per le strade della città. Il papà rispose che forse
ignoravano l'esito del suo colloquio con Mussolini. Il maggiore gli chiese
come mai si era permesso di dire di no al duce. "Non collaboro con
chi non stimo ", rispose mio padre, "ed ho cessato di stimare
Mussolini molto tempo fa". "Lei si rende conto che chi non è
con noi è contro di noi?". "Prendetela come volete: io
non sono con voi".
Dopo qualche tempo fu la
volta di un certo prof. Coppola a chiedere da capo la sua collaborazione
ed infine il colonnello Dannhel, comandante la piazza di Bologna, gli intimò
di presentarsi nel suo ufficio e credette davvero di allettarlo proponendogli
di diventare Podestà di Bologna (12)”.
Commenta sarcastico queste
righe Alberto Giovannini, già direttore del “Resto del Carlino”
di Bologna e protagonista a sua volta di molte vicende emiliane del tempo:
“Forse alla figlia di Arpinati,
il Torquato Nanni, che sotto il vigneto di Malacappa indugiava nella lettura
di Platone, mentre attorno infuriava la guerra civile, è assai più
caro nel ricordo, di quel "certo professor Coppola" che venne
un giorno dal padre, e da Malacappa lo portò alla Rocca delle Caminate,
dove Mussolini tentò per l'ultima volta di convincere l'antico compagno
alla resistenza nell'ultima trincea. Ma quel "certo professor Coppola"
era uno dei maggiori grecisti italiani, impegnato come un "certo professor
Gentile" e un "certo professor Ducati", nell'avventura tragica
che anche Leandro Arpinati aveva contribuito ad iniziare ed aveva portato
avanti fino a renderla irreversibile. Coppola si apprestava a morire. Come
Arpinati, ma di certo più ingiustamente di lui (...)”.
Quel che accadeva a Malacappa
era noto; almeno a Mussolini. Il Duce un giorno ci disse, grosso modo "Il
vostro amico Arpinati, se la fa con partigiani e antifascisti. Spera qualcosa.
È segno che non ha capito niente" (13).
Quanto al contenuto del colloquio
del 7 ottobre, ne sono noti i resoconti di coloro che ebbero la ventura
di raccogliere la versione dello stesso Arpinati, il quale, evidentemente,
ne parlava tanto ai famigliari quanto agli ospiti occasionali della Malacappa.
Ricorda ancora la figlia Giancarla:...
“Il colloquio con Mussolini
fu molto tranquillo. Quando mio padre giunse alla Rocca la trovò
piena di tedeschi e l'unico italiano che gli riuscì di vedere fu
Monzeglio, un ex giocatore di calcio. Il Duce lo ricevette nel suo studio
e gli andò incontro a braccia aperte: "Vuoi che parliamo del
passato?" "Ci sono cose più importanti delle questioni
fra me e te" rispose il papà.
Allora Mussolini iniziò
una conversazione da salotto, punteggiata dalla sua irriducibile antipatia
per Hitler. Disse mirabilia della flotta inglese, "gran popolo, diceva,
gran popolo!", entrata in blocco nel golfo di Salerno per difendere
le truppe incalzate verso il mare; si entusiasmò per il comportamento
dei russi, gran popolo anche quello, poi, come se fosse la cosa più
naturale del mondo, venne al nocciolo della questione e chiese la collaborazione
del papà.
"Faccio l'agricoltore"
rispose mio padre. Mussolini lo guardò con simpatia, quasi avesse
già scontato il rifiuto e cominciò a lamentarsi dei tedeschi
che lo tenevano praticamente prigioniero.
“Il tuo compito ora",
disse mio padre, "è quello di scongiurare l'avvento di una
guerra fratricida..." "Naturalmente!" convenne Mussolini.
"Non devi permettere, insistette il papà, che in un nuovo governo
i tedeschi si servano del tuo nome". "Se vogliono fare di me
un fantoccio", rispose Mussolini, "si sbagliano.. . ". "Nè
fantoccio nè niente" disse mio padre, “gli italiani non debbono
venir divisi in due partiti, non deve scoppiare una guerra civile: tu puoi,
tu devi impedirlo!". "Sta certo. Non si serviranno di me come
di un fantoccio!".
Era sicuro di giungere
ad un armistizio a buone condizioni. Mio padre gli espresse i suoi dubbi
e Mussolini gli confidò il grandioso piano tedesco di allagare la
valle padana per creare una potente barriera naturale. Il papà balzò
in piedi esterrefatto: "Questo no" gridò "almeno
questo no! Un danno incalcolabile! Distruggere le più produttive
regioni italiane! Un piano criminale!" "È vero",
consenti il duce, “è vero!" Salutando mio padre gli chiese
ancora una volta di collaborare con lui e il papà rispose ancora:
"Ormai sono soltanto un agricoltore". "Una volta o l'altra
verrò a vederla questa azienda che ti tiene lontano da me!".
Gli mise una mano sulla spalla, abbassò la voce: "Se ti chiamerò,
quando ti chiamerò, so che verrai!". "Soltanto l'agricoltore...
" rispose di nuovo mio padre (14)”.
Agostino Iraci, “collaboratore
ed amico” di Arpinati (così lo qualifica, la dedica di una fotografia
dello squadrista romagnolo, datata 1933, pubblicata nel frontespizio del
suo volume), fornisce una versione quasi identica del colloquio tra i due
ex camerati forlivesi:
“Mussolini gli va incontro
con le mani tese. "Oh, Leandro, sono molti anni che non ci vediamo.
Dobbiamo parlare del passato? Abbiamo molte cose da dirci" . E Arpinati:
"ll passato ora non conta. Ci sono cose molto più importanti,
io credo". E Mussolini: "Sapevo che avresti risposto così.
Che ne dici della situazione?". Arpinati risponde che la guerra è
perduta, e non c'è rimedio. Mussolini replica che non è vero.
La Germania ha ancora grandi risorse e nei suoi confini è invincibile.
Insieme col suo territorio, difenderà anche l'ltalia settentrionale.
Manderà altre truppe e grandi mezzi. Sta preparando anche un piano
di allagamento della pianura padana..." Arpinati protesta: "sarebbe
distruggere duemila anni del nostro lavoro "... E aggiunse: "ma
vedo che tu sei prigioniero dei tedeschi"...
Mussolini risponde: "Non
è vero. Ho fatto sapere a tutti che io faccio il capo del governo,
e devo avere la più ampia libertà d'azione. Se no, me ne
vado. Ma ho bisogno di persone sicure. Tu sei l'unico uomo sul quale posso
veramente contare. Tu devi essere per ora il Ministro dell'lnterno. Poi,
nella nuova repubblica, io sarò il Presidente, e tu sarai il Capo
del Governo. Ma tu devi stare con me".
Arpinati risponde che egli
non può servire una causa, nella quale non può credere; che,
a parte lo sfacelo incombente, i principi stessi della repubblica sociale
gli sembrano utopistici, e in ogni caso, sono contrari alle sue opinioni,
ché Mussolini dovrebbe ricordare...".
Mussolini insiste, ma inutilmente,
egli stesso si rende conto che ciò che chiede non può essere.
Si lasciano l'uno e l'altro un po' commossi, consapevoli che non si rivedranno
più (15)”.
È possibile, a questo
punto, anche se non semplice, proporre una sintesi della vicenda, sulla
scorta delle versioni escusse. L'iniziativa di condurre Arpinati da Mussolini
per recuperarlo alla vita politica del nuovo Governo fascista nasce in
certi ambienti del fascismo bolognese più giovanile ed ingenuo,
rappresentato dal Commissario Federale di Bologna, Aristide Sarti, e da
una certa “vecchia guardia” dissidente che ne aveva condiviso la disgrazia,
rappresentata da Goffredo Coppola.
Senza dubbio, sia Mussolini
che Arpinati non pensano minimamente di incontrarsi e di colloquiare in
quello scorcio del settembre '43 che presenta ben altri scenari politico-militari
che quello delle “correnti” del fascismo anni '30; gli stessi intermediari,
Giorgio Pini ed Antonino Melega, esprimono chiaramente un marcato scetticismo
verso quell'iniziativa, ed ha torto Franz Pagliani nello scrivere che “Mussolini
volle vedere Arpinati”: la freddezza di Mussolini verso l'ex camerata è
registrata puntualmente da Pini.
Il colloquio viene imbastito
frettolosamente fra il 3 ed il 6 ottobre, rispettivamente data del primo
colloquio di Pini con Mussolini e del messaggio recapitato a Malacappa;
pochi giorni dopo, Mussolini si trasferisce dalla Rocca a Gargnano, ove
i tedeschi - secondo l'inglese Deakin - hanno preteso che abbia sede il
nuovo Governo (16) oramai formato e da essi promosso.
Posti ministeriali vacanti
non ve ne sono più: il 5 ottobre, Ruggero Romano ha assunto i Lavori
Pubblici; il 9 ottobre, Augusto Liverani assume le Comunicazioni in luogo
del defezionario Giuseppe Peverelli.
Estremamente improbabile che
Arpinati (a parte ogni altra considerazione) potesse assumersi gli Interni,
sia pure “ad interim”: quel Ministero è saldamente in mano a Guido
Buffarini Guidi, uomo dei tedeschi, politico scaltro e navigato, per liberarsi
dal quale Mussolini, dopo caute manovre durate parecchi mesi, rischia il
21 febbraio '45 la rottura completa con gli “alleati” durante una drammatica
crisi (17).
Sempre a proposito di tedeschi,
non si vede come la figlia di Arpinati abbia potuto registrare un così
spiccato interesse germanico per il recupero di un ex gerarca ad essi tanto
estraneo, nè come Hitler potesse contare “sulla sua popolarità”...
Dev'esserci pur sempre il riflesso di insistenza di elementi emiliani presso
i comandi tedeschi di Bologna.
Semmai, la presenza dei tedeschi
alla Rocca costituisce un ulteriore motivo di defilamento per Arpinati,
ingigantito sino a riempire fisicamente tutto lo spazio circostante Mussolini;
egli, infatti (e così anche la figlia), quasi non menziona nè
Sarti, nè Coppola, nè Melega, nè Berardi: nei racconti
del vecchio squadrista e della figlia, vi son soltanto vetture con soldati
tedeschi e tenenti delle S.S.
Il calciatore Eraldo Monzeglio,
amico dei Mussolini era senz'altro alla Rocca, ma Giorgio Pini presente
secondo la versione di Arpinati non c'era.
In concreto, quel 7 ottobre
del '43 si svolge un dialogo fra estranei, malgrado la calorosa accoglienza.
Arpinati sale alla Rocca già convinto a non assentire ad una collaborazione
e dopo aver selezionato situazioni utili solo a tal fine.
Mussolini, d'altro canto,
tutt'altro che entusiasta dell'iniziativa di Sarti e Coppola, al di là
dei convenevoli, trova in Arpinati un semplice interlocutore da far partecipe
delle preoccupazioni, dei progetti e dei pensieri reconditi che d'ora innanzi
rivelerà agli ospiti più fidati: un calcolo carico di diffidenza
verso i metodi tedeschi, I'odio per Hitler, la speranza di poter ancora
governare in piena autonomia, l'obiettivo di un armistizio onorevole.
Ad Arpinati offre tutto, perché
Arpinati non vuole accettare nulla. Tuttavia, Mussolini non trascurerà
anche in seguito di prendere notizie del collaboratore di un tempo e di
esprimere giudizi sulla sua nuova posizione politica. Scrive Pini sulI'udienza
del 25 marzo '44:
“Mi aveva chiesto di Arpinati
e io gli avevo risposto che continuava a fare l'agricoltore alla Malacappa,
tenace nella sua nota avversione alla politica sociale, e ormai decisamente
orientato contro i tedeschi (19)".
Gli fa eco ancora una volta
Franz Pagliani, che scrive:
“Non rividi più
Arpinati da quel giorno, ma ero sempre informato sul conto suo, anche perché
tutte le volte che mi ricevette, Mussolini me ne chiese notizie, con affettuoso
interessamento. Per non amareggiarlo, non gli dissi degli atteggiamenti
sempre più manifesti, nè delle notizie che trapelavano (era
un segreto di Pulcinella, e sarebbe bastato alzare un dito perché
il covo fosse distrutto) sugli strani ospiti di Malacappa.
Quando, però, l'11
febbraio 1945, dopo talune vicende bolognesi, fui ricevuto l'ultima volta
(erano con me il federale di Bologna, Torri, e il vicesegretario del partito
Bonino, entrambi viventi) ed, esauriti gli argomenti politici del colloquio,
ancora una volta Mussolini chiese: "E che fa Arpinati?", non
potei più tacergli la verità, e pur senza accennare all'ospitalità
concessa ai generali inglesi e ai nuclei radiofonici partigiani (la generosità
dei comandi "repubblichini" fu veramente ammirevole), gli dissi
essere ormai chiaro che egli aspettava gli alleati.
La scena è rimasta
fotografata nella mia memoria anche perché è stata l'ultima
volta che vidi Mussolini. Era pallido, con la barba lunga, vestiva la solita
divisa grigioverde un po' gualcita e senza gradi. Si alzò in segno
di commiato, si tolse gli occhiali, che posò sul tavolo ingombro
di carte e con tono quasi solenne, profetico, disse: "Arpinati si
illude, perché anche senza saperlo è imbarcato sulla nostra
stessa barca, e quando affonderemo noi, verrà a fondo anche lui".
Il che accadde, ad Arpinati, una settimana prima che a Mussolini (19)”.
NOTE:
(1) G. Cantamessa Arpinati,
Arpinati mio padre, Roma, Editrice “Il Sagittario" 1968.
(2) A. Iraci, Arpinati l’oppositore
di Mussolini", Roma, Mario Bulzoni Editore 1970
(3) R. De Felice, Mussolini
il duce, Tomo I: gli anni del consenso (1929-1936), Torino, Einaudi 1981.
(4) L. Bergonzini, Gli ultimi
giorni di Arpinati e Nanni alla Malacappa, in AA.VV., Torquato Nanni e
il movimento socialista nella Romagna toscana, Rimini, Maggioli 1987, pp.
105-130. L'autore è grato al Dr. Fabio Gabrielli per la cortese
segnalazione del saggio.
(5) D. Susmel, Leandro Arpinati.
Ucciso senza perché. Da: Domenica del Corriere n. 39, 19 settembre
1967, a. 69°, pp. 37-39, qui p. 38.
(6) G. Pini, Itinerario tragico
(1943-1945) Milano, Omnia 1950, pp. 17-18, 31-32 e 35-36.
(7) G. Bocca, La Repubblica
di Mussolini, Bari, Laterza 1977, pp. 45-46.
(8) Bocca, La Repubblica...
cit. p. 46.
(9) F. Pagliani, Arpinati
e Mussolini. Da: Il Borghese n. 18, 2 maggio 1968, pp. 42-43, qui p. 42.
(10) T.A.A. Antonino Melega
(n. Bologna 11.4.1907) Milano 3.4.1990
(11) Pagliani, Arpinati...
cit. p. 42.
(12) Cantamessa Arpinati,
Arpinati... cit. pp. 163-164.
(13) A. Giovannini, La storia
fatta in casa. Da: Il Borghese n. 14, 4 aprile 1968, pp. 703-704, qui p.
704.
(14) Cantamessa Arpinati,
Arpinati... cit. pp. 161-163.
(15) Iraci, Arpinati... cit.
p. 254.
(16) F.W. Deakin, Storia della
Repubblica di Salò Torino, Einaudi 1970, voll. 2, vol. Il, p. 765.
(17) G. Almirante, Autobiografia
di un fucilatore, Milano, Edizioni del Borghese 1971, p. 122.
Bocca, La Repubblica... cit.
pp. 303-305.
Deakin, Storia... cit. vol.
Il pp. 999-1000.
L. Garibaldi, Mussolini e
il professore. Vita e diari di C.A. Biggini Milano, Mursia 1983, p. 300,
21 febbraio 1945.
A. Mellini Ponce de Leon,
Guerra diplomatica a Salò, Bologna, Cappelli 1950, p. 71.
(18) Pini, Itinerario... cit.
p. 67
(19) Pagliani, Arpinati...
cit. pp. 42-43.
STORIA VERITA' N. 11 Marzo-Aprile 1998
(Indirizzo e telefono: vedi PERIODICI)